Il primato o il privilegio di segnare il centro della penisola è conteso a Rieti da numerose città dell’Italia appenninica, da Narni a Foligno, da Cotilia a Cittaducale o Antrodoco.
Benché sotto il profilo sociostorico abbia influito assai di più il fatto di essere terra di confine tra Stato e Regno, nessuna città può contendere a Rieti l’antichità della fondazione e l’autorevolezza dell’identificazione, affermata da Marco Terenzio Varrone, eruditissimus Romanorum.
Proprio il computo varroniano vale a tutt’oggi a segnare l’ umbilicus, al culmine dell’arce, indicato da due distinti segnacoli: la targa multilingue murata ai limiti della piazza, il monumentale cilindro dalla superficie policroma impietosamente ma realisticamente detto La caciotta che ingombra la piccola piazza fin quasi a lambire i gradini della chiesa dei Santi Martiri Ruffo e Carpoforo, affiancata dal grande palazzo dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi.
Chiamati agli inizi del XVII secolo a gestire l’ospedale di Sant’Antonio Abate, nel 1746 i religiosi furono incaricati di amministrare la parrocchia di San Ruffo.
Poiché la chiesa parrocchiale era assai antica e fatiscente, ne fu decisa la ricostruzione e fundamentis. Anche la casa parrocchiale fu ricostruita tenendo conto delle esigenze dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi che prestavano il loro prezioso servizio per la salute del corpo e dell’anima dividendosi infaticabilmente tra la chiesa e l’ospedale.
Il palazzo si sviluppa ordinatamente intorno ad un piccolo chiostro dalle linee armoniose, affacciandosi sulla piazza con una elegante gradinata a ventaglio.
L’austera mole dell’edificio è ingentilita dalle riquadrature delle grandi finestre affacciate lungo via della Cordonata e vicolo Cappelletti. Dal loggiato dell’attico si ammira uno dei più suggestivi panorami della città e della valle solcata dal nastro argentato del Velino. Austero e funzionale, il palazzo eretto nella seconda metà del XVIII secolo dall’architetto Melchiorre Passalacqua dovette attendere oltre un secolo per arricchirsi di un’adeguata decorazione pittorica. Solo nel 1898 l’incarico fu conferito al giovane artista reatino Antonino Calcagnadoro, all’epoca ventitreenne, che vi sperimentò tecniche e stili diversi per soddisfare le esigenze dei committenti. Nato nel 1876, Antonino Calcagnadoro era stato avviato all’attività di decoratore dal padre Cesare, apprezzato artigiano.
Il sindaco Vecchiarelli, intuendo le sue potenzialità, volle assegnargli una borsa di studio affinché potesse perfezionare a Roma la sua formazione.
La decorazione del palazzo di San Ruffo rappresenta dunque uno dei primi incarichi di prestigio, in cui il giovane pittore dimostra la sicura padronanza dei mezzi tecnici e delle abilità espressive e la conoscenza delle correnti estetiche più attuali: ciò è evidente nelle suggestioni preraffaelite della cappella privata, dalla volta campita di un pastoso, inteso color rosa salmone sulle cui pareti si stagliano finissime le silhouettes dei diafani angeli dalle lunghe vesti seriche, o nelle sagrestie in cui le immagini dei Santi e le allegorie cristologiche sono realizzate fingendo le luminescenti, perlacee tessere vitree di un mosaico paleocristiano.
La galleria al piano nobile, con l’elegante cornice a grottesche che impagina la sequenza delle storie della Vita di San Camillo de’Lellis conferma l’abilità del giovane Calcagnadoro nel tratteggiare le figure, nel comporre scene ben congegnate nello spazio, nel selezionare ed organizzare sintatticamente immagini diverse in una sequenza narrativa ben ordinata.