(di Ileana Tozzi) Passata anche per Rieti la bufera della guerra, le ferite profonde inferte dai bombardamenti al patrimonio edilizio della città furono almeno in parte sanate mediante l’espansione del tessuto urbano infittendo le maglie dell’abitato oltre la ferrovia, a nord delle mura, attraverso la lottizzazione della proprietà Maraini.
L’area antistante ai campi sportivi del Molino della Salce fu interessata all’insediamento popolare promosso dal Piano Fanfani, mentre i campi adiacenti all’asse viario della “passeggiata”, ancora delimitata da un doppio filare di platani e castagni selvatici, furono lentamente erosi dalle palazzine costruite in cooperativa per dare nuovi alloggi alle famiglie della piccola e media borghesia.
Mentre, uno ad uno, i campi di grano e gli alberi da frutto cedevano ad una folta foresta di gru, anche la Chiesa locale seguì i destini della gente chiudendo i battenti dell’antica parrocchiale di San Donato in porta Cintia per accogliere i fedeli in una nuova sede.
Fu monsignor Carlo Di Fulio Bragoni, di venerata memoria, il primo artefice del rinnovamento: benché fosse già avanti negli anni, non esitò ad obbedire al vescovo Baratta per intraprendere un compito tanto arduo e faticoso che è dovuto trascorrere mezzo secolo prima che il cantiere di Regina Pacis fosse chiuso.
La prima, precaria sede della nuova comunità parrocchiale fu un semplice, spoglio magazzino di via Consoni, mentre l’impresa Marchioni cominciava a tirare su, un mattone dopo l’altro, la casa parrocchiale e la piccola chiesa ad essa adiacente.
Monsignor Bragoni, che aveva portato con sé alcuni dei beni e degli arredi di San Donato, vi teneva affollatissime lezioni di catechismo, vi organizzava con la massima cura le cerimonie dell’anno liturgico, zelante e infaticabile nel dirigere le coscienze al pari del cantiere, ad onta del freddo, degli spifferi, dell’umidità che filtrava dalle pareti prive d’intonaci, dalla colata di cemento che a lungo rimase priva di un pavimento vero e proprio.
L’ingegner Barnini, l’architetto Costadoni, l’artista Arduino Angelucci idearono la grande aula destinata ad accogliere la moltitudine dei fedeli della nuova parrocchia, sempre più popolosa, come una corona di stelle imperniata sul gioco delle colonne in cemento armato, dedicata a celebrare la Vergine Maria sotto il titolo di Regina della Pace.
I mosaici ideati dal professor Angelucci furono l’ideale cerniera tra il nuovo e l’antico, cercando ispirazione nell’arte paleocristiana.
Monsignor Vincenzo Santori, succeduto a monsignor Bragoni come parroco della nuova chiesa, ereditò da lui l’oneroso incarico di provvedere a completarvi, un passo dopo l’altro, le attrezzature, gli impianti, gli arredi.
Don Lino Marcelli e successivamente don Lucio Tosoni raccolsero a sua volta il testimone, lasciando ciascuno il proprio segno nell’allestimento della chiesa di Regina Pacis, una presenza viva nel quartiere al punto di riassorbire il toponimo del piazzale che si apre oltre il suo sagrato.
Don Fabrizio Borrello ha speso molte delle sue energie di giovane sacerdote per compiere gli indispensabili lavori di adeguamento strutturale, progettati con la consueta perizia dal compiano arch. Elio Pietrolucci.
Mezzo secolo dopo la posa della prima pietra, benedetta da monsignor Baratta, il vescovo Delio Lucarelli consacrò solennemente la chiesa parrocchiale di Regina Pacis.
Ora dopo tre anni dal suo arrivo in parrocchia, don Ferdinando Tiburzi ci lascia per raggiunti limiti di età: merita il ringraziamento sincero da parte di tutti noi parrocchiani per il bene che ha saputo compiere in un così breve arco di tempo.
E un grazie particolare va a don Jean Baptiste Sano che generosamente si presta a far sì che, in attesa del provvedimento del Vescovo, consente alla comunità parrocchiale di Regina Pacis di vivere il tempo forte dell’Avvento come tempo di attesa, non come momento di incertezza.