di Ileana Tozzi - È vero, anche la strada più accogliente, ricca di memorie, profumata di tigli e di biancospino, rischia di assuefare i nostri cinque sensi se è la strada di sempre.
Non la osserviamo più, fosse pure il cardo di Pompei, via San Gregorio Armeno a Napoli, a Roma la via dei Coronari, tanto apprezzata dall’Architectural Digest tra le più belle del mondo.
Non ci interesserà indagare sugli ultimi giorni in cui la colonna di fumo biancastro, screziato di grigio e nero, che costò la vita a Plinio il vecchio, irriducibile studioso, pioniere del metodo empirico, non sentiremmo le voci, le risate, i suoni, un giorno dopo l’altro, concentrandoci sui fatti nostri, oppure dimenticandoli a nostra volta.
Eppure abbiamo attraversato a passi lenti i vicoli ombrosi protetti un tempo dalla cinta delle mura riscoprendo i colori variegati dei cortili fioriti, abbiamo varcato i gradini delle chiese, abbiamo osservato i frammenti del tempo passato - i fregi, le iscrizioni, gli affreschi dilavati nell’imbotto di una porta - nell’intento di ricordare la città e i suoi cittadini di un tempo.
La rubrica Strada facendo ha avuto questo intento, durante gli anni trascorsi: osservare gli elementi del paesaggio urbano, conoscere i documenti d’archivio e confrontare le fonti materiali, ricordare per quanto è possibile gli abitanti di allora dipanando il filo della memoria.
Un esempio per tutti: è di questi giorni la notizia che l’ATER intende utilizzare dieci alloggi per gli studenti universitari nello stabile di via del Porto n° 51. Qualcuno ricorderà ancora l’officina del fabbro, ultimo depositario di antiche tecniche di produzione, i cui antenati approdarono pe’ ponte dalle Marche al tempo di Napoleone. A ritroso, sul portone a tutto sesto campeggia lo stemma dei Capelletti. Il palazzo nobiliare era ed è ancora sulla sommità della piazza, ma l’edificio di via del Porto si trovava in una zona commerciale, a ritroso dello scalo pubblico. Fino al 1739, quando le più cospicue confraternite della città furono destinate dal Papa a finanziare il brefotrofio dell’Umbria meridionale, lo stabile era stato di proprietà della confraternita di San Pietro Martire, che associava i mercanti della città. Era l’età dei Lumi, e gli ammalati, gli indigenti, gli orfani e i figli di nessuno si concentravano in falansteri. Il brefotrofio fu fondato a Narni: gli amministratori della città di Rieti si decisero ad inviare la loro proposta solo dopo tre giorni di scadenza.
Questo ci hanno raccontato le cronache, ci hanno attestato i documenti di un tempo passato.
Nuovi inquilini abiteranno le nostre case, una generazione dopo l’altra, e sarà sacrosanto per loro cambiarne destinazione d’uso: ma resterà il senso ed il significato di una piccola rubrica che nel corso degli anni ha mantenuto desta l’attenzione sul passato senza nostalgismi ma con una scintilla di verità documentaria, nell’intento di soddisfare il lettore con curiosità ed interesse.
Cantava bene, Gabriella Ferri, e diceva il giusto: Anche tu diventerai/ Come un vecchio ritornello/Che nessuno canta più.
Ci saranno altri, adesso, a tracciare strade nuove.
E se capiterà di attraversare ancora le strade di sempre, allora ci auguriamo che facciano tesoro della meraviglia.
Format nov-dic '23